Ducati Motor ha registrato per il 5° anno consecutivo un nuovo record di vendite con 45.100 moto consegnate, il 2% in più rispetto al 2013. (leggi qui)
Ma purtroppo ha anche registrato un significativo calo del 14% sul mercato italiano con 4.284 moto consegnate, contro un calo del mercato europeo pari al 3%.
Sicuramente colpa della crisi economica, ma grande responsabilità va attribuita ai prezzi e ai costi di gestione elevati delle moto costruite a Bologna.
Forse a Borgo Panigale non hanno ancora compreso che questa lunga crisi (partita nel corso del 2008) non è una crisi congiunturale limitata nel tempo, ma è strutturale: i bei tempi passati non torneranno più, la classe media (fulcro di una società dei consumi) è praticamente scomparsa e se mai ci sarà una ripresa ci vorranno anni perché si possano sentire gli effetti.
Prima ancora di leggere i dati di vendita del 2014, già in una nota scritta qualche tempo fa mi chiedevo se a Borgo Panigale avessero correttamente interpretato le mutate esigenze del mercato, di quello italiano in particolare e citavo, come elemento di confronto, il marchio Harley Davidson.
Forse in Ducati credono che la durata di un modello non debba superare un anno di vita e probabilmente pensano ancora, che possedere una Ducati sia un privilegio che non ha prezzo.
La HD, che per impostazione di marketing può sicuramente essere paragonata alla Ducati, ha invece riflettuto che le esigenze dei motociclisti sono cambiate ed ha avviato una propria strategia di downsizing, presentando la STREET in versione 500 e 750 con un prezzo di listino contenuto entro gli 8000 euro.
Anche KTM, Triumph, i marchi giapponesi e, in parte, anche MV Agusta hanno recepito le nuove tendenze di mercato ed hanno presentato all’EICMA molte novità in linea con le attuali esigenze di mercato; solo la Ducati sembra ferma sulle proprie posizioni seguendo addirittura il cammino inverso: ovvero sempre più premium.
Il downsizing, che nei paesi emergenti del lontano oriente consente di raggiungere dati di vendita a dir poco favolosi (dell’ordine di milioni di unità all’anno), potrebbe ben presto diventare un trend anche europeo considerando che un tale orientamento porta vantaggi nei costi di gestione come: consumi, manutenzione e premi assicurativi.
Con i limiti normativi, i costi di gestione e l’intensità del traffico odierni, moto da oltre 150 CV, si possono usare solo in pista o semplicemente per sfoggiare dei dati tecnici seduti al tavolino del bar.
Una Panigale di 200cv, una Multi di 162cv o un Monster di oltre 150cv, non si possono che vendere a una piccola frangia della clientela e temo che non sia più quella che costituiva lo zoccolo duro della clientela Ducati negli ultimi anni.
Tutta l’elettronica costosissima di cui sono dotati questi modelli è una fuga in avanti: quale è il senso di fare moto di 160 o 200 CV e poi di doverle dotare di ”supporti” elettronici per limitarne la potenza per renderle gestibili?
Questa generazione di potenziali clienti, sicuramente “non giovanissimi”, non è affascinata da una strumentazione tipo Smartphone utilizzabile di fatto a non più del 10% del suo potenziale.
Ritengo utopistica la scelta della Ducati di volersi proporre come la Ferrari a due ruote; come ho già detto più volte sono due mondi diversi, le cifre in gioco sono ben differenti e di conseguenza anche la clientela.
Credo inoltre che la filosofia delle due clientele sia sostanzialmente differente: la Ducati si compra prevalentemente per passione, per sé stessi, spesso controcorrente rispetto alle preferenze di una maggioranza. Mentre la Ferrari, al contrario, si acquista anche per uno status, per gli altri, per poter dire “ho la Ferrari” ovvero sono arrivato!
Con questa strategia per adesso in Italia la Ducati ha piazzato poco più di 4000 moto/anno e non credo sia solo effetto della crisi. Il punto è che la moto, anche quella di gamma alta, è pur sempre un prodotto di largo consumo.
C’è dunque il timore che la Ducati possa perdere una parte dei suoi clienti più fedeli perché non più in grado di seguire l’evoluzione della gamma: fra poco non si troverà più una Ducati sotto i 10.000€.
Non vorrei che nella seconda metà di questo decennio si debba ripetere la debacle degli anni ’70 quando, per opera della emergente industria giapponese, si verificò quasi l’estinzione delle maggiori industrie europee, italiane ed inglesi in particolare, che anche allora non seppero interpretare le mutate richieste del mercato.
Pensare che i paesi emergenti siano la soluzione per “piazzare” un prodotto premium é un sogno: in Brasile per esempio si vendono 6.000 Ducati all’anno, ma per quanto tempo? Questi paesi non hanno nessuna tradizione motociclistica.
In definitiva il timore è che la Ducati possa vedere ridursi la propria clientela rivolta a moto ben più versatili.
Se poi si considera anche la perdita di immagine per gli scarsi risultati nei campionati SBK e MotoGP, tutti i timori appaiono sempre più fondati.
Con queste premesse il calo di vendite in Italia era prevedibile; nel migliore dei casi insistere sul prodotto premium porterà la Ducati a NON essere di fatto italiana. Speriamo almeno che con lo Scrambler si sia aperta una nuova strada; se le vendite in Italia subiranno una ulteriore contrazione la Ducati rischia di essere una esotica in casa propria; d’altronde “nemo propheta in patria“, augurandoci che almeno all’estero la Ducati continui a mantenere il proprio appeal come prodotto esotico.
Ma ritornando al mercato italiano dobbiamo rilevare che con numeri così ridotti si pone il problema, non trascurabile, dei concessionari: quale imprenditore italiano sarebbe disposto ad investire il proprio danaro per allestire uno store degno di un prodotto premium per vendere poi al massimo 2 o 3 centinaia di moto all’anno?
D’altronde la scelta (obbligata?) di Ducati di gestire direttamente lo store di Roma fa riflettere, che le città più accreditate siano solo le grandi metropoli.
L’eventuale soluzione di rivolgersi a rivenditori multimarche sarebbe in netto contrasto con l’immagine di un prodotto premium.
Ed allora penso che la soluzione migliore sia prendere l’esempio di Roma ed aprire store gestiti direttamente dalla casa madre a livello regionale, o provinciale nel caso di province particolarmente estese, collegati ad una rete di Ducati Point dislocati sul territorio, presso i quali il cliente potrebbe recarsi per l’assistenza ed eventualmente richiedere la consegna della moto, dopo averne trattato l’acquisto presso lo store ufficiale.
Non essendo un esperto di marketing, le mie sono ovviamente opinioni del tutto personali, ma sono portato ad insistere sull’argomento, perché temo per il futuro della “mia” Ducati.
Per concludere io darei un’interpretazione diversa al concetto di prodotto”premium“: “qualità del prodotto e post-vendita ai massimi livelli di eccellenza.”