Tutto è iniziato il 23 settembre 2007. E’ una domenica mattina come le altre, tanti amici, tante moto, tanti motori accesi e tanta voglia di divertirci. Decidiamo di andare a prendere il solito caffè domenicale; questa volta la destinazione sarà Avellino Ovest.
Pronti? si parte! Autostrada NA-BA, siamo da poco partiti da Napoli e per i primi 2-3 km rimaniamo uniti, poi man mano il gruppo si divide in base alle proprie andature. Ad un certo punto mentre percorro l’autostrada, in piena curva, mi trovo a scivolare sull’asfalto per tanti e tanti metri e improvvisamente il nulla!
Ho perso i sensi, davanti ai miei occhi vedo solo un’immagine nera, nessuna luce bianca, nessun tunnel, nessuna voce, c’è solo il buio.
Sento delle voci lontanissime che poi si amplificano diventando sempre più forti e vicine.
Convinto che fosse un incubo, apro gli occhi, ma non vedo la mia cameretta di casa, vedo delle persone che mi guardano con delle facce bianche e spaventate. Sento un fortissimo dolore alla schiena e realizzo subito che è successo qualcosa di grave e si tratta di me stesso.
Mi tolgo il casco, la prima reazione è di panico, ho bisogno di respirare ma inizio a sputare sangue dalla bocca, cerco di rialzarmi ma non riesco, intravedo la mia gamba destra che non ha più una forma naturale, ho il piede girato al contrario (è appoggiato sulla mia spalla sinistra), il dolore è lacerante, io “credente” grido al dolore:“Dio perché mi hai abbandonato!” Vedo e sento delle persone che si fermano a guardare, cercano di fare e dire qualcosa ma non possono fare nulla, so solo che per circa 20 minuti ero rimasto a terra senza dare nessun cenno di vita.
Ad un’altra fitta di dolore e in un attimo di lucidità, ricordo queste mie parole: “Dio, un’ ultima preghiera, fa che torni sano, io tuo figlio…”
Sono nell’ambulanza ed in un attimo sono al pronto soccorso, ed un attimo dopo vedo qualche amico che mi consola e mi parla, poi vedo i miei genitori e il dottore che incomincia a curarmi, parlano e parlano se trasferirmi o meno e come operarmi.
Per me erano tutti attimi, dei flash, ma in realtà erano tempi molto più lunghi il tutto era causato dal fatto che svenivo continuamente per i forti dolori.
“Mia madre racconta, in seguito, che nei corridori si vociferava della possibilità che fossi rimasto paralizzato dalla schiena in giù, dato che non riuscivo a muovere le gambe”
Sono sempre sul lettino del pronto soccorso ho tanta sete, ho perso molto sangue ma non posso bere devono farmi l’ecografia per controllare lo stato degli organi interni.
Non riesco a muovere le gambe, ho sete, so di aver perso del sangue dalla bocca, HO PAURA, sono impotente, sono nullo, posso solo sperare: ma cosa? Il dolore è sempre più forte, tanto da farmi urlare: “OPERATEMI!!!” Mi trovo in sala operatoria, bisogna urgentemente stabilizzare il femore, è rotto e pluriframmentato, ormai sono un sacco di patate che viene spostato a destra ed a sinistra senza nessuna forza.
Apro gli occhi, un dottore mi dice che mi trovo nella sala di rianimazione ma solo per precauzione e dovrò passare la notte qui. Nel frattempo gli infermieri cercano di spostarmi sul letto per farmi stare più comodo ma sento forti dolori e strappamenti di lembi di pelle rimasti ancora attaccati alle lenzuola, ho completamente la schiena raschiata dall’asfalto ed ho vari ematomi per tutto il corpo.
Passata la notte, mi portano nel reparto ortopedia. Vedo i miei genitori, mi abbracciano, nei loro occhi c’è tanta sofferenza vorrebbero subito il loro figlio a casa, vorrebbero che tutto questo non fosse mai successo. Mentre siamo insieme, mi ritrovo d’urgenza per la seconda volta verso la sala rianimazione, ho gli occhi al cielo, non mi arriva più ossigeno al cervello, ho una crisi respiratoria, sento solo voci ma non vedo nulla, stanno discutendo su come intervenire, dicono che ho i polmoni chiusi e mi devono applicare un respiratore artificiale.
Segregato in sala rianimazione, non posso vedere nessuno, ormai non penso più a nulla, non ho idea di cosa sarà la mia vita di un domani ed in quali condizioni. Sono due giorni che sono collegato a varie macchine, con tante sonde per il corpo, intorno a me non vedo altro che pazienti nelle mie stesse condizioni e qualcuno persino in coma. Al terzo giorno finalmente mi riportano nel reparto ortopedia, rivedere le persone più care intorno a me è stata la cosa più bella che in quel momento potessi desiderare, mi sento VIVO!
Il 16 Ottobre 2007, si ritorna in sala operatoria dovranno inserirmi nel femore un bel chiodo di 40cm per uno spessore di 11mm. Il giorno dopo, ancora dolorante, un infermiere portandomi sulla barella per il controllo radiografico, mi guarda e con sorriso mi dice:
“Marco, quel giorno ti ho soccorso sull’autostrada e sappi che abbiamo pregato tutti, perché noi colleghi eravamo preoccupati che in ospedale non ci saresti arrivato. Sono contento di rivederti e vedere che stai bene.”
Sono passati ormai anni da quel giorno e quei ricordi indelebili sono parte di me, ringrazio tutte le persone che mi sono state accanto e ringrazio Dio per avermi ascoltato.
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