“La Superbike debutta in Australia nell’indifferenza delle Case (e dei giornali)” così recitava alcuni giorni fa un blog del giornalista Paolo Scalera e forse, aggiungo io, in una certa indifferenza anche da parte degli appassionati, visto il basso numero di ascolti nonostante il cambio di emittente (da LA7 a Mediaset).
Ha ancora senso la Superbike così com’ è oggi?
Forse le è rimasto il solo “merito” di costringere le case costruttrici a mantenere nel proprio listino moto iper sportive solo per motivi di immagine nonostante la evidente crisi di questa nicchia di mercato, una produzione tendente allo zero. Ormai solo per un costruttore delle dimensioni e dell’immagine di Ducati può avere un senso mantenere nel proprio listino una SBK stradale.
Certo è che il mondiale SBK, stando ai numeri dei telespettatori, sembra essere sempre più un prodotto riservato ad una fascia ristretta di appassionati e perciò rischia di scomparire per mancanza di sponsor.
Forse il rilancio della SBK potrebbe passare attraverso il ripescaggio dello spirito iniziale che, a partire dagli anni ’70, generò queste competizioni, cioè soddisfare la voglia del pubblico motociclistico che voleva vedere la propria moto stradale confrontarsi in pista.
Queste competizioni hanno prodotto nel tempo la generazione delle SBK stradali, una razza ormai in via di estinzione mentre il mercato registra chiaramente un ritorno alla moto stradale multifunzione.
E allora perché non ritornare a quelle appassionanti gare per moto derivate dalla serie che negli USA, patria del fenomeno SBK, si disputavano addirittura con i manubri alti di serie e che hanno visto sfidarsi grandi campioni come Lawson e Spencer
Mentre in Italia si allestivano moto derivate da modelli di grande serie dotandoli di carene, sellini monoposto, mezzi manubri e pedane arretrate e concedendo un certo livello di elaborazione ai preparatori. Un esempio per tutti le Honda/Samoto preparate da Carlo Murelli, con cui ebbe modo di esprimersi Tommaso Piccirilli.
Si otterrebbe un deciso abbattimento dei costi, a partire già dal prezzo iniziale della moto, un intervento più massiccio ed interessato delle case – e degli sponsor – che avrebbero tutto l’interesse a pubblicizzare i propri modelli di ampia produzione e forse anche il ritorno della figura del “preparatore”.
Ma se, in omaggio allo spettacolo, si volessero vedere in pista moto più simili alle MotoGP si potrebbe riproporre una categoria simile alla Formula 750, riservata alle moto derivate dalla serie di cilindrata massima 750cc, in auge negli anni ’70 prima come serie internazionale (Prix FIM 750) e poi, dal 1977 al 1979 come Campionato Mondiale.
In buona sostanza le moto dovevano mantenere telaio e motore, elaborato, di una moto derivata dalla serie.
Sarebbe però necessario fissare numeri di produzione sufficientemente elevati onde evitare di arrivare alla degenerazione della Yamaha TZ 700/750 (praticamente una moto da Gran Prix costruita in un numero di esemplari sufficienti ad ottenere l’omologazione) che determinò la fine di questa categoria.
In contrapposizione alla super specialistica Yamaha la 750 della Suzuki era derivata dalla 750 GT raffreddata a liquido che aveva una impostazione chiaramente turistica.
Così articolato il campionato potrebbe risultare ancor più interessante scatenando la fantasia delle case e dei preparatori.
Probabilmente dal listino attuale DUCATI si potrebbero scegliere come base di partenza tanto il Monster 1200 quanto il MTS 1200, ma anche la stessa Panigale qualora i numeri di produzione risultassero conformi al regolamento.
D’altronde esiste un precedente proprio nella storia della Ducati: nel 1970 Bruno Spaggiari, storico pilota/collaudatore della casa bolognese, partecipò alla Conchiglia d’oro Shell di Imola in sella ad un 450 Scrambler adattato alla pista, forse per dimostrare la bontà della ciclistica e l’ecletticità della moto.