E’ opinione popolare che la paternità della distribuzione desmodromica (che da qui in avanti citeremo come DESMO, rubando una espressione gergale ai ducatisti) sia da attribuire alla Ducati o meglio all’ing. Fabio Taglioni che la realizzò per conto della casa di Borgo Panigale.
Qualcuno più ferrato sulla storia delle competizioni ci ricorda che la Mercedes ha dominato un biennio di Formula 1 (1954/55) con le sue fantastiche W196 qualche anno prima che Taglioni realizzasse le altrettanto fantastiche 125 da Gran Premio. La Casa della Stella a tre punte adottò questo tipo di distribuzione anche sui motori delle 300 SLR che conquistarono il campionato mondiale per vetture Sport del 1955.
In realtà le origini di questa particolare soluzione tecnica risalgono a molto prima.
Il desmo fu quasi certamente ideato dal francese Claude Bonjour che il 1º aprile 1893 ne depositò il brevetto a Ginevra (CH6911A), chiamandolo appunto “desmodromique”. Ripreso e migliorato nel 1896 dal tedesco Gustav Mees e nel 1899 dallo stesso Bonjour, nel primo ventennio del XX° secolo il sistema venne applicato sui motori di diverse case automobilistiche e motociclistiche.
Si trattava quasi sempre di modelli sportivi, o particolarmente lussuosi, per i quali i maggiori costi di produzione e di manutenzione imposti dalla complessità del desmo non rappresentavano un problema.
Uno dei primi esempi compare nel 1910 sull’inglese Arnott; successivamente lo adottarono Peugeot (1912), Delage (1914), Isotta Fraschini (1916), FIAT (1920); seguirono poi Mercedes (1954) e poi ancora Ducati, OSCA, Stanguellini, Bianchi, Mondial e Norton.
Poche realizzazioni trovarono impiego in gara, per quanto riguarda le auto ricordiamo le OSCA sport dei fratelli Maserati e l’americana SCARAB che disputò poche gare nel 1960, ultimo anno della Formula Uno di 2500cc, con scarsi risultati.
Tra le moto solo la MV Agusta impiegò per alcune gare del 1959 una 125 desmodromica.
Ma ritorniamo alla storia del Desmo Ducati.
Negli anni Cinquanta la maggior parte dei motori monocilindrici da corsa, compresi quelli delle Ducati GS meglio note come Marianna, era dotata di molle a spillo lavoranti allo scoperto perché, essendo facilmente soggette a rottura, potevano essere sostituite agevolmente senza dover smontare la testa.
Per ovviare a questo inconveniente Taglioni pensò alla distribuzione desmodromica.
Nel 1956, al GP di Svezia, debutta vittoriosamente con Degli Antoni la Ducati 125 GP trialbero. L’albero centrale, azionato da alberello verticale e coppie coniche, recava le camme di chiusura, che, tramite bilancieri a doppio braccio, richiamavano le valvole verso le sedi, mentre i due alberi laterali provvedevano all’apertura. Taglioni in pratica “aggiunse” un albero centrale alla precedente testa bialbero a molle.
Quando le geometrie vennero focalizzate con precisione e fu accumulata una sufficiente esperienza pratica si ebbe la prima grande evoluzione: il passaggio da tre alberi a camme ad uno. Nel 1968 esce infatti la Ducati Mark 3 Desmo (250, 350 e 450) con motore monocilindrico a distribuzione desmodromica monoalbero. A Borgo Panigale si porta il desmo nella produzione di serie.
Tra il motore 125 da GP ed il monoalbero di serie Taglioni, nel 1960, si era dedicato al progetto di motore a distribuzione desmodromica, un V8 raffreddato ad aria da 1500cc costruito in esemplare unico e destinato a un eventuale impiego su di una vettura di Formula Uno, probabilmente commissionato dalla OSCA, che non ebbe però alcun seguito.
In questo caso in ciascuna testa erano alloggiati due alberi a camme sovrapposti. Quello di apertura era collocato superiormente e quello di chiusura subito sotto di esso. Probabilmente da questo schema Taglioni derivò il successivo monoalbero piazzando i due eccentrici di chiusura assieme a quelli di apertura, su di un unico albero a camme.
Il DESMO della Ducati evolverà poi nella versione bicilindrica a coppie coniche con la 750 SS, seguita dal Pantah 500 con distribuzione azionata da cinghie dentate ed infine, dopo alcuni esperimenti in gara, dalla serie Desmoquattro evoluta, a sua volta, nelle versioni Testastretta, TSE (Testa Stretta Evoluzione) e infine Superquadro con distribuzione mista catena/ingranaggi.
Gli altri desmodromici dell’era moderna
In tempi più recenti questo sistema è tornato in auge negli studi di progettazione delle grandi Case come BMW, Suzuki, Honda, Ford, Volkswagen senza però trovare un impiego pratico. Se queste case hanno continuato ad impiegare il sistema tradizionale hanno evidentemente avuto i loro motivi.
Anche nel campo delle competizioni in tempi relativamente recenti è ritornato l’interesse sulla distribuzione desmodromica da parte di prestigiosi costruttori quali Cosworth, Porsche e Ferrari che però non l’hanno impiegata in gara.
L’entrata in scena del richiamo pneumatico delle valvole sembra avere di fatto posto fine a ogni residuo interesse nei confronti di questa complessa tecnologia.
La Ducati continua invece ad impiegare il suo desmo con risultati eccellenti, anche se ormai non sembra che le prestazioni del motore siano superiori a quelle ottenute dalla concorrenza. In effetti la Ducati realizza moto dalla personalità eccezionale, con un’architettura costruttiva unica nel panorama mondiale e dalla straordinaria raffinatezza tecnica perché il desmo costituisce una autentica delizia per gli appassionati della bella meccanica.
Quale fu dunque il merito di Taglioni? Egli riuscì a rendere particolarmente efficiente questo sistema di distribuzione tanto da introdurlo nelle moto di serie, come mai nessuno, già dalla fine degli anni ’60.